SYLVIE E BRUNO
FANNY & ALEXANDER
MER 13 LUG | ore 21.30
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liberamente tratto da Sylvie e Bruno di Lewis Carroll (Einaudi editore) nella traduzione di Chiara Lagani
ideazione Chiara Lagani e Luigi De Angelis
drammaturgia Chiara Lagani
regia, scene e luci Luigi De Angelis
con Andrea Argentieri, Marco Cavalcoli, Chiara Lagani, Roberto Magnani ed Elisa Pol
musiche e sound design Emanuele Wiltsch Barberio costumi Chiara Lagani cura del suono Vincenzo Scorza organizzazione Marco Molduzzi, Maria Donnoli comunicazione e promozione Maria Donnoli immagine Igor Siwanowicz
una produzione Ravenna Festival, E Production/Fanny & Alexander in collaborazione con Ravenna Teatro
ringraziamenti Anita Baliani, Paul Behnam, Brando Carella, Vittoria Casadio Lombini, Guido Farina, Anna Frantini, Leo Molduzzi, Rodolfo Sacchettini
La canzone del giardiniere è cantata da Emanuele Wiltsch Barberio
foto Enrico Fedrigoli
In occasione dell’uscita, per Einaudi, del terzo romanzo di Lewis Carroll, Sylvie e Bruno nella nuova traduzione di Chiara Lagani, la compagnia immagina uno spettacolo tratto da questa affascinante trama. Il libro racconta due storie in parallelo: una contrastata vicenda d’amore, e una storia «magica» di cui Sylvie, una bambina, e il minuscolo, sgrammaticato Bruno, suo fratello, sono i protagonisti.
Sylvie e Bruno, che ispirò James Joyce nella costruzione del suo famosissimo romanzo Finnegans Wake, opera attraverso le categorie visionarie del sogno, una dimensione rapinosa che ci porta al di fuori dalla percezione ordinaria della realtà, perfino diremmo dai nostri involucri materiali concreti, concedendoci esperienze immaginifiche e vertiginose che riflettono al contempo problematiche nodali dell’inconscio singolo e collettivo.
Immaginatevi di essere terribilmente stanchi e che il sonno stia per sorprendervi e trascinarvi al fondo di un sogno. Il punto di partenza di questo spettacolo è proprio quello stato parzialmente vigile e al contempo di semi-abbandono in cui il corpo si fa improvvisamente pesante, la mente si solleva e quasi possiamo vederci dall’alto, salvo repentini sussulti delle membra che, se non ci svegliano, segnalano proprio un profondo inevitabile trapasso ad un mondo “notturno”, fatto di immagini e suoni volatili eppur consistenti. Siamo allora nel mondo dei sogni, un mondo dotato di sue regole parallele che in qualche modo riorganizzano e trasformano le immagini diurne con quelle del nostro inconscio.
Sulla scena, gli attori sono in certo senso le radici sensibili di questo processo, che attraversando molti ruoli, permettono al pubblico di restare attaccato alla dimensione “concreta” della rappresentazione, fatta di pochissimi elementi visivi, poiché l’azione è immersa in uno spazio inizialmente “neutrale”, che a poco a poco si va caratterizzando nel riempirsi di voci e di suoni che ricreano in modo iperrealistico una serie di luoghi che,nella logica surreale del sogno, si materializzano, come ologrammi sonori o puri fantasmi, dando vita alle duestorie intrecciate.
Un esile «io», quello di un testimone-narratore, passa e trapassa dall’uno all’altro mondo (e, a staffetta, dall’uno all’altro attore) – dal sogno alla realtà, mentre altri personaggi hanno una sorta di “doppia cittadinanza” nelle due dimensioni, e infine i magici Sylvie e Bruno possono prendere plausibile figura umana e mescolarsi al mondo grigio e disonestamente virtuoso degli adulti.
I due mondi, sogno e realtà, hanno incidenti e modi differenti, hanno una logica diversa e questa logica è affidata in primo luogo all’incantevole Bruno e in minor grado a due erratiche e confinarie figure di Professori,impegnati in scoperte scientifiche molto carrolliane, nonché in una sorta di filosofica, strampalata forma di“resistenza”. Nel mondo magico, infatti, è appena avvenuto un violento colpo di Stato, operazioni di aggiotaggio fatato, mentre nel mondo reale, al culmine della storia, infuria una terribile misteriosa febbre, simile alla pandemia di questi nostri giorni.
Dunque da un lato abbiamo un mondo al collasso in cui all’improvviso irrompe la forza della bellezza e dell’immaginazione; dall’altro un mondo piagato da una terribile, metaforica malattia, che però sopravvive, in nome della potenza dell’amore e dell’arte.
foto Enrico Fedrigoli